Atlante, quei che su le bronzee spalle
sostiene il ciel, dei Numi antichi albergo
(Euripide, Ione, vv.1-2, trad. Ettore Romagnoli)
Lungo la catena montuosa dell’Atlante, il “monte dei monti” anche nell’odierna lingua locale – un tempo il titano condannato a sostenere da solo “le lunghissime colonne che tengono divisi terra e cielo” (Omero, Odissea, I, 52-54) – si colloca geograficamente il racconto di questo nuovo numero di Forma Urbis, dedicato all’archeologia del Marocco e curato dall’Istituto di Studi del Mediterraneo Antico del CNR.
Siamo, per gli Antichi, nell’estremo Occidente del mondo, oltre i confini della terra abitata, oltre le celeberrime “Colonne d’Ercole”, e proprio qui le Esperidi – figlie del Tramonto o della Notte – custodivano un meraviglioso giardino, denso di prodigi, in cui Elios, divinità del sole, si recava ogni sera a riposare, terminato il suo corso quotidiano: il sole, infatti, tramonta a Occidente.
Il mito narra che le tre ninfe, i cui nomi – Egle, “la brillante”, Erizia, “la Rossa”, Esperaretusa, “l’Aretusa del Tramonto” – evocavano le tinte del cielo quando la sera il sole muore, si dilettassero ogni giorno fra danze e canti presso fonti sorgive che stillavano ambrosia (il cibo degli dei) con l’unico compito di sorvegliare un prezioso albero di mele d’oro, dono di Gea a Era (FGrHist 3 F 16b) per le nozze con il divino Zeus.
Potete continuare con la lettura dell'editoriale (e del sommario) qui!