In questo numero di marzo che Forma Urbis dedica, come ogni anno, alle figure femminili nell’antichità – e che, nello specifico, con taglio temporale e disciplinare trasversale, riserva in ampia parte al ruolo delle balie – l’editoriale si incentra su un caso peculiare di nutrici divine perché…
Abbiamo bisogno della Dea perché essa spezza gli stereotipi del femminile, liberando in tal modo le donne dai limiti impliciti in uno stereotipo “dato”. Le donne possono essere al tempo stesso forti e belle, femminili e guide sapienti, madri e partecipi di una cultura. Se la Dea ci offrisse solo questo, sarebbe già abbastanza: ma sembra che essa apporti molto di più […] La Dea completa l’immagine di Dio e apporta la totalità (Rita M. Gross).
Secondo un mito delfico poco noto, Tia, ninfa del luogo e figlia del dio-fiume Cefiso o dell’eroe Castalio, si unì ad Apollo e da lui generò Delfo, eponimo della sacra città di Delfi: Tia fu anche la prima a celebrare il culto di Dioniso sulle pendici del Parnaso (Paus. X, 6, 4), sancendo – ancora una volta per prima – il legame e l’alternanza sul tripode delfico dell’apollineo e del dionisiaco; proprio in ricordo di questo fatto, talvolta le Menadi (Mainades, letteralmente “donne indemoniate” al seguito di Dioniso) portavano il nome di Tiadi, le nutrici del bimbo nato tre volte.
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L'editoriale e il sommario, invece, sono consultabili qui.
Buona lettura!